lunedì 17 febbraio 2014

Nei miei occhi

Il graphic novel di Bastien Vivès edito dalla Blackvelvet è un'opera molto praticare e raffinata perché affronta tutta la narrazione dal punto di vista del protagonista. Punto di vista letterale. Infatti è attraverso i suoi occhi che vediamo tutto quello che accade: dai momenti in cui fissa la ragazza, a quando cammina per strada o si fa le rampe di un palazzo, fino a quando socchiude prima e chiude poi gli occhi per baciare la ragazza coprotagonista.

Ma la peculiarità che da il titolo all'opera non è l'unica caratteristica presente. L'autore francese sceglie infatti di non far parlare mai il protagonista,  ma di farci immaginare cosa dice in base al dialogo della ragazza di cui si innamora. È una scelta che ci permette ulteriormente di immedesimarci nel protagonista: cercare non solo di vedere cosa attraverso i suoi occhi, ma anche di pensare come se fossimo noi al suo posto. Il tutto viene rinforzato ancora di più dal fatto che non si fa mai cenno ai loro nomi.

Il tutto è poi racchiuso in una cornice non delineata. Le varie vignette, così come i baloon, non hanno bordi definiti, conferendo alla narrazione un aspetto quasi onirico, come se si viaggiasse più sul filo dei ricordi; anche la scelta di non usare chine ma solamente pastelli rafforza questa decisione. La ragazza dai capelli rossi, poi, è di una delicatezza e bellezza rara e Vivès la rende ottimamente.

Venendo alla storia, assistiamo alle varie fasi di una classica storia d'amore, fino al finale un po' imprevedibile, poichè il comportamento della ragazza cambia repentinamente, forse un po' troppo, ma che comunque non si distacca dal realismo. Lo stesso finale sembra una porta chiusa violentemente in faccia, ma se si comprende la psiche della coprotagonista, allora si capisce che non c'è null'altro da narrare e la scelta narrativa dunque si rivela azzeccata.

Insomma, un riuscitissimo fumetto che trova nelle sue varie peculiarità e nella bellezza della protagonista i motivi per cui vale la pena possederlo nella propria libreria.

venerdì 31 gennaio 2014

Dove nessuno può arrivare

Dove nessuno può arrivare è un graphic novel di David Rubìn che esplora l'abisso umano attraverso la vita di Ulisse Yorba, pugile dilettante, dal momento in cui conosce Ana, la donna della sua vita, fino a dieci anni dopo, quando ormai sono anni che non si vedono più e lui bussa alla sua porta vestito da supereroe e con dei proiettili in corpo.

La frenetica scansione temporale degli eventi, assolutamente non raccontanti in ordine cronologico, dona al breve romanzo un ritmo veloce come i pugni che Ulisse si assesta da solo. Si, il protagonista trova il vero amore ma non riesce a fare a meno di essere triste e di autodistruggersi pur senza un motivo plausibile, finché un giorno, accantonata la sua storia d'amore, trova la sua ragione d'essere nel fare il supereroe. Solo indossando la maschera riesce a nascondere quella tristezza che gli fa distruggere tutto ciò che tocca.

La conclusione non può che essere l'accettazione completa di se stesso, che lo porterà ad un ultimo sacrificio per non mettere in difficoltà la sua ex, la quale dopo anni ricorda ormai perché ha amato quell'uomo, la cui profonda malinconia si cela là, dove nessuno può arrivare.


venerdì 11 ottobre 2013

Alla deriva

Un lungo viaggio in auto alla ricerca dell'anima perduta, o forse mai avuta, dalla California verso Toronto. E in mezzo dei gatti. Tanti gatti. Forse proprio uno di loro ha rubato l'anima di Raleigh, la triste diciottenne protagonista di questo graphic novel, opera prima di Bryan Le O'Malley, conosciuto per il suo Scott Pilgrim.

Il fumetto edito dalla Rizzoli Lizard è un lungo viaggio, fisico e interiore, che la protagonista compie mentre torna a casa accompagnata da tre ragazzi conosciuti per caso: Stephanie, mezza matta che vede in Raleigh la perfezione, David, un tipo un po' più riflessivo e attratto da Relaigh e Ian, uno con un bel caratterino e sicuramente anima del gruppo.

O'Malley confeziona un bel romanzo di crescita interiore, dove il dolore della diciottenne bionda, un dolore comune a tante persone, viene esplorato fino in fondo, in tutte le sue venature, fino a trovare una risoluzione finale grazie proprio all'aiuto dei nuovi amici.

È un fumetto riflessivo, pieno di pensieri ermetici, che si muove con passi felpati come quelli dei gatti che costellano tutto il volume. La raffinatezza della sceneggiatura viene ammorbidita dallo stile grafico di O'Malley, molto più stilizzato rispetto a quanto visto nel successivo "Scott Pilgrim".

Un volume molto bello e che concede anche qualche livello secondario di lettura, grazie all'introduzione di alcuni temi come il lavoro della madre, gli onnipresenti gatti e un viaggio di cui anche i protagonisti perderanno le tracce. Trovarsi "alla deriva" sarà solo un punto di partenza.


mercoledì 27 febbraio 2013

Saguaro n. 10 - Spiriti liberi

Per espiare il ritardo dello scorso mese, stavolta mi sono fiondato in edicola il giorno stesso in cui è arrivato questo decimo numero di Saguaro dal titolo "Spiriti liberi". Saguaro ha un unico difetto: esce solo una volta al mese! Attenzione, stavolta c'è qualche spoiler.

L'eroe creato da Bruno Enna questa volta si trova sotto copertura all'interno di un carcere per scoprire se effettivamente ci sono degli abusi nei confronti dei nativi. Storie di questo genere ne abbiamo già viste molte, eppure a leggere il fumetto sembra di trovarci di fronte a qualcosa di diverso, complice anche la diversità razziale del protagonista. Il carcere, infatti, annulla tutte le differenze razziali e, sebbene all'interno comunque esistano varie gang etniche, l'unica opposizione tangibile è prigioniero\schiavo contro guardiano\padrone. Inoltre, più la razza sarà in minoranza, più sarà seviziata. I prigionieri politici, poi, come Nastas, il fratello di sangue di Saguaro, subiscono le pene maggiori tanto da perdere la propria identità o addirittura la vita. Lo stesso Saguaro proverà tali supplizi sulla propria pelle: psicofarmaci, maltrattamenti fisici, alterazione del sonno e illuminazione sempre accesa.

Il carcere diventa una metafora di vita che rivive nei ricordi del protagonista, dove nei brevissimi flashback si intuisce come il padre fosse un'autorità violenta tale da spingerlo ad evadere, prima da ragazzino nello hogan insieme a Nastas e poi, da adulto, lontano dalla riserva. Il crollo dell'autorità è lo stesso che avviene nel carcere, ma stavolta Thorn non scappa. Lotta, le prende come mai le ha prese prima e vince. Nessun esilio e la famiglia resta compatta, tanto che nelle scene finali il nostro Thorn salva anche Due Orsi, il quale per più volte si è visto rifiutato di essere chiamato "fratello". Del fratello vero, Nastas, l'uomo per il quale Saguaro ha scelto di infilarsi nella prigione, si perderanno le tracce: una vera e propria beffa, quasi uno scherzo, che nella mitologia indiana è solita fare lo spirito del coyote, il trickster, l'ingannatore, proprio lo spirito guida di Nastas che ha chiamato Saguaro alla missione.

Nota di merito per i disegni di Marco Foderà, buoni e dinamici con l'unico difetto che spesso i volti tendono a somigliarsi troppo (Due Orsi è un Saguaro con le basette mentre Granger ricorda tantissimo Cobra Ray). Non particolarmente di spicco, invece, la copertina di Furnò.


martedì 19 febbraio 2013

Dampyr n. 155 - Il sigillo di Lazzaro

Non sono solito comprare Dampyr. Anzi, credo di averlo acquistato una sola volta e di averne letti meno di una decina che mi sono stati regalati. Dampyr è una serie horror e io con l'horror non sono mai andato troppo d'accordo, basti pensare che sono sempre stato refrattario a Dylan Dog. Però Dampyr, ad avere spazio, lo seguirei perchè è una serie coi controfiocchi che fa della documentazione storica e etnologica il suo punto forte. Magari se la Bonelli aprirà in maniera definitiva all'e-book, un pensierino potrei farcelo.

Ma perchè vi sto parlando di Dampyr? Perchè ho comprato il  numero di febbraio, "Il sigillo di Lazzaro", che merita due parole. La storia è un classico del genere: gli eroi devono trovare un antico manufatto sulle cui tracce sono anche i nemici e in più salterà fuori un terzo incomodo. Una storia tutto sommato buona e che si fa leggere con piacere. Ma allora cos'ha di speciale questo numero? Semplice: è uno dei numeri più "politici" della Sergio Bonelli Editore.

L'ambientazione di questa avventura è infatti la città dell'Aquila, colpita dal violento terremoto del 2009 (il quale viene anche riproposto in una sequenza) e letteralmente abbandonata dalle istituzioni. E Harlan, il protagonista, col suo socio Kurjak, passeggiando per il centro storico ne denunciano a chiare lettere l'abbandono da parte delle istituzioni e di come tutto sia ricaduto sulle spalle dei cittadini che, rimboccatisi le maniche, sono andati avanti e hanno cercato di vivere nella maniera più normale possibile, dimostrando grande coraggio e dignità.

Nata da un'idea di Boselli e scritta e sceneggiata da Cajelli, è dunque una storia importante per il messaggio sociale e politico, che lascia facilmente dimenticare i piccoli difetti che non inficiano la qualità della storia come alcuni dialoghi un po' forzati, quasi finti, e i disegni di Fabrizio Russo che, per come lo conoscevo su Martin Mystère, sono un po' peggiorati.



lunedì 18 febbraio 2013

Saguaro n. 9 - Odio cieco

Con un po' di ritardo, parlo anche di questo nono numero di Saguaro, la serie western moderna di Bruno Enna. Lo dico subito: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una bella storia, dura e spietata come il sole che picchia in Arizona.

In breve, il cadavere di una nativa sparisce dall'obitorio e le tracce portano in due direzioni: da una parte la multinazionale per cui la donna lavorava, che sfrutta e inquina il territorio Apache, e dall'altra il marito di lei, indiano anch'esso e con il vizio dell'alcol e dalle mani pesanti. In mezzo si trova il nostro Thorn, coadiuvato come sempre dalla valida Kay, la quale, proprio in questo numero, darà sfoggio delle sue qualità.

L'albo scorre bene e si segue l'indagine dei due con la giusta curiosità, ma come sempre avviene in questa collana, l'attenzione vera e propria è dedicata alle tematiche sociali di quell'epoca. La sottrazione del cadavere è giusto il pretesto per parlare dello sfruttamento del territorio ai danni dei nativi, i quali sono tutt'altro che propensi a starsene buoni. I motivi e le accuse sono validi da entrambe le fazione e l'ago della bilancia, rappresentato da Saguaro, punta in una sola direzione: quella della legge. Indiano o bianco, chi sbaglia finisce col muso sul suo pugno.

Spettacolare e "fumettistica" la lotta finale, ambientata in una location davvero suggestiva come già la splendida copertina di Furnò fa intendere: le rovine di un Pueblo Anasazi. Senza svelare nulla, la chiusura dell'albo è alquanto amara e anche se la legge fa il suo corso, a farne la spesa delle guerre sono sempre gli innocenti.


venerdì 15 febbraio 2013

Il lato oscuro della Luna

Il quinto volume della serie Bonelli "Le Storie" è il punto più alto raggiunto della collana finora. Ad eccezione del numero uno, gli altri tre numeri hanno raccontato storie più d'avventura mentre nel quinto ritroviamo una storia di forte spessore psicologico e con risvolti intimistici con la differenza che, se ne "Il boia di Parigi" era ambientato secoli fa, la storia di Bilotta è ambientata negli anni '60 del XX secolo, rendendo l'identificazione coi personaggi e la società più agevole.

In breve si potrebbe dire che è un viaggio nella memoria di un astronauta, ma la verità è che i livelli di lettura sono molti di più, tanto da arrivare ad un finale che è chiuso, ma che ne lascia aperta l'interpretazione. A me, lo ammetto, piacciono le storie coi buoni finali, ben definiti, che danno solidità a tutta la struttura precedente; in questo caso non abbiamo una chiusura classica, ma piuttosto particolare che però rende molto meglio di una spiegazione data col cucchiaino; insomma, in questo caso si può parlare della classica eccezione. Ma in questo albo tutto è perfetto, non solo il finale. L'alternanza dei ricordi della fanciullezza con quelli della (presunta) realtà danno quel giusto ritmo alla storia, permettendo di entrare ancora di più nell'animo del protagonista.

Bilotta, per l'appunto, è un po' il narratore dell'animo. Lo ha già dimostrato con opere precedenti come "Valter Buio", il cui connubio di nostalgia e malinconia si fondeva magistralmente con la realtà. Ecco, questo è il tratto caratteristico di Bilotta: il fil rouge che collega tutte le sue opere, con il quale mi sento parecchio empatico e di cui anche in questo albo trova la sua massima espressione ed essenza.

Ma per quanto la narrazione sia sublime, essa sarebbe debole se non fosse accompagnata da disegni all'altezza e, per nostra fortuna, è questo il caso. Matteo Mosca disegna delle tavole sublimi, dove alle dettagliate immagini ambientate nello spazio alterna quelle espressive degli anni '40. Su tutti, ho trovato straordinaria la caratterizzazione del padre, pre e post guerra; al contrario, la madre è quasi una figura femminile anonima, che però rispecchia perfettamente la psicologia del personaggio. Ma sono in generale i primi piani che rasentano la perfezione: un intera sequenza di espressioni umane finemente ritratte e immortalate. Come se non bastasse, anche la copertina di De Gennaro è la migliore prodotta finora, tanto che meriterebbe di essere venduta come poster.

In conclusione, la Bonelli è riuscita per l'ennesima volta a fare quello che sa fare meglio: vendere un fumetto di altissima qualità ad un prezzo irrisorio (stiamo parlando di 3.50 €) ed è l'unica azienda al mondo a fare roba del genere. Noi lettori italiani siamo fortunatissimi.


 
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